Teresa Albano, Funzionaria per gli affari economici presso l’Ufficio del Coordinatore delle Attività Economiche e Ambientali dell’OSCE e Senior project manager del progetto E-MINDFUL
“Il convitato di pietra” è un’espressione metaforica, che indica una presenza incombente ma invisibile, in qualche modo inaspettata, quasi inquietante.
Quando si parla dei fattori che influenzano le attitudini verso i migranti, l’impatto delle politiche migratorie appare come una sorta di un convitato di pietra, una presenza che tutti conoscono ma che nessuno nomina. La ricerca sulle attitudini, infatti, tende a dare la priorità all’esplorazione dei fattori individuali, come i valori e le convinzioni o ancora i fattori sociodemografici, culturali ed economici. Tuttavia, le politiche migratorie giocano un ruolo cruciale nel plasmare l’ambiente in cui le attitudini si radicano e si sviluppano. In alcuni testi adottati a livello internazionale, ci si riferisce alle politiche come a quelle “condizioni favorevoli che consentono a tutti i migranti di arricchire le nostre società attraverso le loro capacità umane, economiche e sociali“.1
Ma come si comporta il Convitato di Pietra?
Un primo strumento è la gestione dello spazio. In tempi di declino demografico e di generale invecchiamento della popolazione, dove sempre più alloggi rimangono vuoti, l’accoglienza dei migranti e le capacità abitative rimangono strutturalmente insufficienti e inadeguate. Rifugiati e migranti vengono raggruppati in aree remote e rurali, spesso in centri di detenzione o campi di accoglienza, dove non sono visibili – e quindi non-esistenti – o sono facilmente percepiti come “colpevoli” di qualche illecito.
Sebbene movimenti di massa si verifichino regolarmente da decenni e possano essere, purtroppo, previsti in base alle numerose crisi in atto, l’impressione è che le migrazioni indotte da conflitti e gli spostamenti dovuti alle persecuzioni siano un’emergenza improvvisa e inaspettata. Eppure, questa ‘emergenza’ risale alla fine degli anni Novanta, quando la caduta del muro di Berlino e la rivoluzione digitale hanno accelerato l’integrazione economica in quella che oggi chiamiamo globalizzazione. Mentre le frontiere sono scomparse per le merci e i beni finanziari, rimangono una barriera – per alcuni insormontabile – alla circolazione degli individui. Il potere di un passaporto nel consentire o meno tale circolazione, è la rappresentazione di una nuova linea divisoria nella gestione dello spazio transnazionale, tra coloro che possono spostarsi rapidamente da un Paese all’altro – e far parte del mondo globale – e coloro che non possono farlo.
Un secondo strumento è il linguaggio. Descritti con termini quali parassiti, come agenti patogeni o carico residuo, i migranti sono rappresentati come non umani. La disumanizzazione aumenta la rabbia e il disgusto, accende le paure e offre un terreno fertile per rafforzare la segregazione spaziale e l’emarginazione. I migranti vengono trasformati in meri corpi, buoni a nulla e pronti a tutto, merce ideale per lo sfruttamento.
Nell’affrontare queste dinamiche, il Convitato di pietra è una presenza invisibile ma essenziale. Ha il ruolo di disegnare quelle regole che impediscono alle persone di circolare, nonostante la carenza di manodopera a tutti i livelli e la crescente domanda di talenti. Può ideare misure che mantengono gli individui ai margini, in un perenne stato di insicurezza. Può alimentare divisioni, disgusto e rifiuto. Oppure il contrario. Il Convitato di pietra può ricordare che se le comunità ospitanti desiderano aumentare o mantenere il proprio tenore di vita, è necessaria la forza lavoro dei migranti. Può evidenziare che le comunità ospitanti possono beneficiare della formazione accademica dei nuovi arrivati. Può progettare uno spazio comune in cui promuovere dignità e tolleranza reciproca, comprensione e il rispetto di tutti, creando le condizioni in cui noi e loro collaboriamo per il bene comune.
Tuttavia, in tempi di ‘post-verità’ e di delegittimazione della ricerca basata sui fatti, non è facile per la politica, spesso ostaggio di narrazioni fittizie, spezzare il circolo vizioso che vede nei migranti i facili capri espiatori della recessione economica e della contrazione dei sistemi di welfare. In un simile contesto, il decisionismo prevale su processi decisionali basati sui fatti e sulla riflessione ragionata. È una politica dell’emozione e non della ragione. Le narrazioni sulla migrazione si radicano in questi terreni e portano i frutti di chi li alimenta.
Elaborare messaggi che, al di la’ delle polarizzazioni, possano offrire una prospettiva realistica e bilanciata a coloro che sono oscillano tra attitudini positive e negative verso i migranti è parte integrante degli sforzi verso politiche migratorie basate sulla ricerca economica, e che possano valorizzare il potenziale sociale, culturale e innovativo dei migranti. Perché “nessun’altra forza – né il commercio, né i flussi di capitale – ha il potenziale di trasformare le vite nei modi sostenibili e positivi e sulla scala che ha la migrazione“.2
2 Peter D. Sutherland, Migration is development: how migration matters to the post-2015
Debate, https://esa.un.org/unmigration/documents/SutherlandMigration&Post2015ArticleSept2013.pdf